ATEROSCLEROSI
INDICE
Di cosa si tratta
Modificazioni delle LDL dovute all’ossidazione
Studi in vitro
Studio in vivo
Appendice: 1.Lp(a)
Appendice: 2.Lipoproteine
Appendice: 3.Apoproteine
Appendice: 4.Helicobacter Pylori
Diagnostica di laboratorio
Diagnostica di laboratorio: 1.Radicali liberi
Diagnostica di laboratorio: 2.Anticorpi anti lipoproteine ossidate
Diagnostica di laboratorio: 3.Omocisteina
Diagnostica di laboratorio: 4.Anticorpi anti Chlamydia pneumoniae
Diagnostica di laboratorio: 5.Ossido nitrico
Diagnostica di laboratorio: 6.Potere antiossidante totale (TAST)
1. DI COSA SI TRATTA
L’aterosclerosi è una patologia molto complessa, alla quale è attribuibile un’elevata percentuale di morti nella società industrializzata. Nel corso degli anni, accanto all’affinamento dei mezzi diagnostici che ha permesso di caratterizzare con crescente precisione le lesioni aterosclerotiche, dalle fasi iniziali alle più avanzate, si è assistito all’evolversi delle conoscenze e delle teorie sulla patogenesi dell’aterosclerosi. Recentemente, sulla base di numerosi dati ottenuti in ambito clinico e sperimentale, si è posta attenzione verso i processi ossidativi come i responsabili del processo aterosclerotico.
Le reazioni ossidative, da cui si formano radicali liberi, sono fondamentali per la difesa dell’organismo, per esempio durante uno stato infiammatorio o un infezione. I sistemi antiossidanti extra ed intra cellulari sono deputati al controllo di tali reazioni. Quando gli antiossidanti fisiologici disponibili non sono sufficienti a controllare le reazioni ossidative, queste tramite i loro prodotti, i radicali liberi, si propagano e modificano irreversibilmente molecole come gli acidi nucleici, proteine, lipidi, formando derivati che non sono più funzionanti o addirittura tossici per l’organismo.
Un’elevata concentrazione plasmatica di colesterolo LDL è uno dei principali e più noti fattori di rischio cardiovascolare. Nell’ipercolesterolemia si mettono in evidenza alterazioni proaterogene della funzionalità della parete vasale, ma le LDL, anche se ad alto dosaggio, come tali non possono causare l’accumulo intracellulare di lipidi che caratterizza la lesione aterosclerotica.
Deve esserci quindi un passaggio intermedio tra LDL e LDL capaci di formare placche aterosclerotiche.
Una delle ipotesi più accreditate e più sostenute da sperimentazioni in vitro ed in vivo è che sia l’ossidazione il passaggio intermedio.
Che sia proprio questo processo il punto cardine nella genesi dell’aterosclerosi si basa sulla osservazione che, in seguito a modificazioni ossidative, le lipoproteine a bassa densità possano causare l’accumulo di ingenti quantità di lipidi all’interno delle cellule della parete vasale, principalmente cellule muscolari lisce e monociti/macrofagi.
Questo fatto accade perché le LDL ossidate sono diverse da quelle fisiologiche e non vengono riconosciute ed eliminate da parte del normale recettore per le LDL, ma vengono eliminate dal recettore scavenger (recettore spazzino) posto sui macrofagi che dopo aver fagocitato LDL ossidate si trasformano in cellule schiumose che sono uno dei costituenti della placca aterosclerotica.
Poiché il plasma è molto ricco di antiossidanti naturali, l’ossidazione delle LDL deve avvenire in un microambiente, isolato dal compartimento plasmatico, in cui la concentrazione degli antiossidanti è relativamente bassa, questo è lo spazio subendoteliale nella tonaca intima dei vasi. In questo compartimento subintimale si esplicano i principali effetti proaterogeni delle LDL ossidate.
2. MODIFICAZIONI DELLE LDL DOVUTE ALL’OSSIDAZIONE
1. Perdita di antiossidanti
2. Perdita di acidi grassi polinsaturi, da cui si formano idrossiacidi, idroperossiacidi, aldeidi e chetoni
3. Aumento del contenuto di dieni coniugati
4. Estesa frammentazione della porzione proteica (apo B 100), che viene modificata dai prodotti di ossidazione dei lipidi
5. Aumento della densità idrata
6. Aumento della mobilità elettroforetica
7. Perdita della capacità di interagire con il recettore per le LDL
8. Acquisizione della capacità di interagire con recettori scavenger
3. STUDI IN VITRO
Sono stati proposti diversi modelli sperimentali per lo studio delle LDL ossidate, un primo modello è quello delle cosidette minimally modified LDL (mmLDL) in cui la porzione proteica non è ancora estesamente modificata e queste lipoproteine vengono ancora riconosciute dal recettore per le LDL sui macrofagi, questo tipo di LDL modificate sono forse quelle che più si avvicinano alle LDL osservabili in vivo, in quanto modificazioni più estese non sarebbero possibili essendo il plasma ricco di sistemi antiossidanti.
In condizioni favorevoli le mmLDL verrebbero ulteriormente modificate e acquisirebbero proprietà aterogene vere e proprie trasformandosi in LDL completamente ossidate.
Le LDL sono normalmente associate a molecole antiossidanti come l’alfa tocoferolo (vit E), beta carotene, ecc. l’ossidazione non ha inizio fino a che tali antiossidanti non sono stati consumati. Tali osservazioni hanno fatto ipotizzare che una dieta ricca di vitamine con proprietà antiossidanti e un supplemento di tali vitamine costituiscano un approccio per la prevenzione primaria e secondaria dell’aterosclerosi.
In vitro l’ossidazione delle LDL avviene con una cinetica caratteristica che comprende tre fasi (latenza, propagazione e decomposizione).
La prima fase corrisponde al tempo durante il quale vengono consumati gli antiossidanti associati alle LDL.
La seconda fase corrisponde alla ossidazione vera e propria, coinvolge prima i lipidi di superfice cioè i fosfolipidi, successivamente i lipidi idrofobici all’interno della lipoproteina, cioè colesterolo e trigliceridi. I prodotti di ossidazione degli acidi grassi possono modificare covalentemente i residui aminoacidici dell’apolipoproteina B 100, che risulta estesamente frammentata. Caratteristica della fase di propagazione è la formazione di prodotti in grado di reagire con l’acido tiobarbiturico e di dieni coniugati, che possono essere determinati nel siero.
La terza fase corrisponde al riarrangiamento e/o alla decomposizione dei prodotti di ossidazione.
Le LDL ossidate sono altamente citotossiche. Le specie tossiche che si formano durante l’ossidazione derivano essenzialmente dalla porzione lipidica della lipoproteina, cioè fosfolipidi (componente superficiale) e trigliceridi, colesterolo libero ed esteri di colesterolo (nucleo idrofobico della lipoproteina).
Oservazioni in vitro hanno evidenziato che durante l’ossidazione circa il 50% della fosfatidilcolina della lipoproteina viene trasformata in lisofosfatidilcolina. La lisofosfatidilcolina che ha origine dai fosfolipidi inibisce in modo dose dipendente la vasodilatazione endotelio dipendente, mediata dall’ossido di azoto (NO), in risposta ad uno stimolo con acetilcolina.
Durante l’ossidazione dagli acidi grassi dei fosfolipidi e dei trigliceridi si formano derivati relativamente idrosolubili, a basso peso molecolare, una parte dei quali si dissocia dalla lipoproteina nel mezzo acquoso in cui avviene l’ossidazione. Tra questi derivati ci sono aldeidi a basso peso molecolare come la malondialdeide (MDA) che hanno effetti tossici sulle cellule in cultura e per i quali si è osservata la capacità di indurre apoptosi.
4. STUDIO IN VIVO
Ci sono molteplici evidenze della esistenza di LDL ossidate in vivo. Dal plasma umano sono state isolate LDL con caratteristiche simili a quelle di LDL ossidate in vitro, anche se la rapida eliminazione dal circolo di proteine modificate e la presenza nel plasma di numerosi fattori antiossidanti fanno si che la concentrazione di LDL ossidate in circolo sia molto bassa. In vivo concentrazioni elevate di LDL ossidate si repertano sulla placca aterosclerotica.
In uno studio condotto su giovani morti per morte violenta l’estensione delle aree della lesione arteriosa in cui sono riconoscibili epitopi delle LDL ossidate correla significativamente con i livelli di tiocianato, che di norma sono elevati nei fumatori.
Le alterazioni strutturali cui va incontro la LDL quando si ossida modifica la sua struttura e la rende antigenica per cui è possibile ricercare nel plasma anticorpi anti LDL ossidate. Vari studi hanno dimostrato che il titolo anticorpale anti LDL ossidate correla significativamente con la presenza di patologie aterosclerotiche, quali coronaropatia e vasculopatia periferica. Questa correlazione sembra indipendente dalla colesterolemia ed il rischio è addittivo se si è in presenza anche di elevati titoli di colesterolo LDL. Tuttavia l’assenza di correlazione tra il titolo anticorpale anti LDL ossidate e i lipidi plasmatici suggerisce che il metabolismo (ossidazione > legame al recettore scavenger > internalizzazione > placca aterosclerotica) delle lipoproteine sia più importante del valore assoluto della colesterolemia LDL.
Le LDL ossidate stimolano non solo la immunità umorale, ma anche quella cellulare.
Alcuni dei linfociti localizzati nelle lesioni aterosclerotiche riconoscono specificatamente le LDL ossidate, le quali rappresentano per queste cellule uno stimolo mitogeno. E’ importente osservare che in vitro l’attivazione dei linfociti T da parte delle LDL ossidate stimola l’attivazione dell’interferone gamma. Questa citochina inibisce la sintesi di collagene da parte delle cellule muscolari lisce, riducendo indirettamente la stabilità della placca e favorendo l’aggregazione piastrinica nelle zone di rottura della placca stessa.
APPENDICE: 1.LP(A)
Esiste una correlazione ampiamente dimostrata tra i livelli plasmatici di LDL e cardiopatia coronarica.
La LDL è costituita da un nucleo di colesterolo esterificato circondato da una voluminosa proteina con massa di circa 550 KD chiamata apoproteina B 100. L’eterogenicità antigenica delle LDL umane è dovuta alla presenza di una proteina detta Lp(a).
Oggi si sa che la Lp(a) è molto simile ad una LDL, infatti come questa contiene: colesterolo esterificato, fosfolipidi ed una molecola di apoproteina B 100.
La caratteristica fondamentale che la differenzia da una LDL è la presenza di una proteina aggiuntiva ad alto peso molecolare denominata apoproteina (a) che esiste in diverse isoforme ed è legata alla apolipoproteina B 100 tramite legami disolfuro.
Da un punto di vista strutturale circal’80% degli aminoacide della Lp(a) coincidono con gli aminoacidi del plasminogeno.
Il plasminogeno contiene un dominio proteasico, che attivato, scinde la fibrina e che è presente anche nella Lp(a), con la differenza che in questa apolipoproteina tale dominio non è sensibile ai vari attivatori del plasminogeno e, di conseguenza, non genera attività fibrinolitica.
L’insensibilità del dominio proteasico della Lp(a) agli attivatori fisiologici del plasminogeno (con marcata attività fibrinolitica) hanno fatto postulare l’ipotesi di una possibile interferenza negativa di questa lipoproteina con l’attivazione del sistema fibrinolitico e conseguente tendenza alla trombosi.
La proprietà antifibrinolitica potrebbe favorire l’aterogenesi rallentando la dissoluzione dei microtrombi vasali.
Quantità significative di Lp(a) sono presenti nelle placche aterosclerotiche umane.
Le concentrazioni di Lp(a) sono correlate positivamente all’incidenza di cardiopatia ischemica.
I 2/3 della popolazione ha livelli di Lp(a) inferiori a 20 mg/dl e la concentrazione di Lp(a) è predittiva dell’entità patologica a carico delle coronarie documentata con angiografia.
La concentrazione nel siero di Lp(a) ha sicuramente una base ereditaria ma anche fattori non genetici come il diabete e le gravi nefropatie possono aumentarne la concentrazione nel siero.
Esiste una differente concentrazione di Lp(a) nei due sessi.
Non è presente nei neonati, compare nelle femmine alla pubertà, aumenta durante il periodo fertile e si incrementa ancora di più dopo la menopausa.
Nei maschi le concentrazioni di Lp(a) sono, di norma, più basse e più costanti nel tempo.
La terapia sostitutiva estroprogestinica nella femmina diminuisce i livelli di Lp(a) dopo circa sei mesi di trattamento.
Il trattamento sostitutivo estroprogestico in menopausa migliora quindi il profilo lipemico non solo abbassando il colesterolo totale e LDL ed alzando i valori del colesterolo HDL, ma anche abbassando le concentrazioni sieriche di Lp(a).
Nei maschi affetti da carcinoma prostatico, in seguito a trattamento con estrogeni, diminuiscono i livelli di Lp(a)
Appendice 2: LIPOPROTEINE
Le lipoproteine plasmatiche sono un complesso di macromolecole eterogenee, costituite da una parte proteica e da una parte lipidica, la cui funzione è quella di trasportare i lipidi nel sangue.
Osservate al microscopio elettronico appaiono formate da una parte centrale (core) costituita da lipidi non polari (trigliceridi, colesterolo esterificato) circondata da un monostrato di proteine e lipidi polari (fosfolipidi, colesterolo libero).
Questo strato esterno serve a consentire il trasporto in ambiente acquoso, come il plasma, dei lipidi apolari che costituiscono il core.
Vengono classificate in base alla loro densità in.
· Chilomicroni con densità < 950 g/L
· Lipoproteine a bassissima densità o VLDL con densità tra 950 e 1006 g/L
· Lipoproteine a bassa densità o LDL con densità tra 1006 e 1063 g/L
· Lipoproteine ad alta densità o HDL con densità tra 1063 e 1210 g/L
· Lipoproteine con densità molto elevata VHDL con densità tra 1063 e 1210 g/L
Chilomicroni: sono le liporoteine del plasma con maggiori dimensioni e costituiscono la principale forma di trasporto nel plasma dei trigliceridi alimentari (esogeni). Sono assenti nel plasma del soggetto normale a digiuno, compaiono fugacemente dopo i pasti e sono responsabili della torbidità del plasma dopo i pasti.
Sono sintetizzati dalla mucosa intestinale che utilizza per la loro formazione i trigliceridi di origine alimentare e le apoliproteine A e B sintetizzate dalle stesse cellule della mucosa intestinale.
Hanno un emivita di circa 1 ora.
VLDL: sono sintetizzate nel reticolo endoplasmatico delle cellule epatiche e dalle cellule della mucosa intestinale, servono soprattutto al trasporto nel sangue dei trigliceridi endogeni. Per la secrezione delle VLDL nel sangue è indispensabile la presenza della Apo B che costituisce il 25% della parte proteica. L’emivita e di 1–3 ore.
LDL: derivano prevalentemente dal catabolismo delle VLDL, anche se è presente una quota di origine epatica. Sono molto ricche di colesterolo (circa il 50% della massa), sono la classe che trasporta la maggior parte del colesterolo plasmatico (circa i 2/3). La parte proteica è costituita prevalentemente da Apo B.
Costituiscono la classe lipoproteica di cui è meglio noto il ruolo patogenetico nella malattia aterosclerotica e numerosi studi confermano che la sua correlazione con la coronaropatia aterosclerotica è più diretta di quella dei livelli di colesterolo e trigliceridi.
HDL: costituiscono un gruppo eterogeneo di e derivano dal fegato, intestino, e dalla superfice delle lipoproteine ricche in trigliceridi, chilomicroni e VLDL, durante il loro catabolismo. La loro alta densità è dovuta al maggiore contenuto proteico (circa il 50% della massa) che è costituito nel 90% da Apo A.
Possono essere divise in HDL 2 (divisibile ulteriormente in A e B) e HDL 3.
Queste 2 sottoclassi differiscono per vari caratteri:
· HDL 2: colesterolo 24%, fosfolipidi 30%, proteine 40%
· HDL 3: colesterolo 16%, fosfolipidi 23%, proteine 55%
Queste 2 frazioni hanno anche un diverso significato fisiopatologico. Le HDL 2 sono più elevate nel sesso femminile prima della menopausa, aumentano con l’esercizio fisico e risentono in misura maggiore della dieta mentre sul piano patologico, è la frazione maggiormente responsabile del basso livello delle HDL osservato in pazienti con infarto del miocardio.
La funzione delle HDL è molto complessa e ancora non del tutto chiarita, principalmente svolgono due funzioni, la prima è quella del trasporto centripeto del colesterolo dalla periferia al fegato dove viene escreto o utilizzato per la sintesi degli acidi biliari, la seconda è quella di serbatoio di apolipoproteine, in particolare Apo C, che scambiano con le lipoproteine di altre classi.
L’emivita delle HDL è di 3-4 giorni.
Esiste anche un’altra sottoclasse di HDL, la HDL 1 la cui composizione è diversa da HDL 2 e 3.
HDL 1 contiene meno proteine (15%) ed è particolarmente ricca di Apo E. E’ correlata alla HDLc (Cholesterol-induced) la cui sintesi è indotta dall’ingestione di colesterolo e la cui funzione principale è quella di trasportare colesterolo dalla periferia al fegato.
Appendice: 3. APOPROTEINE
Costituiscono la parte proteica delle lipoproteine. La loro presenza consente di trasportare grandi quantità di lipidi nel plasma che sono insolubili in acqua.
Tra tutte le classificazioni esistenti, la più seguita è quella di Alaupovic.
Secondo questa classificazione le apoproteine vengono indicate con lettere maiuscole, i polipeptidi costitutivi con i numeri romani e le forme polimorfiche con numeri arabi.
Apo A: suddivise in Apo A1 e Apo A2 costituiscono il maggior componente proteico delle HDL. E’ presente anche nei chilomicroni.
Le Apo A1 sono sintetizzate nel fegato e nell’intestino, le Apo A2 principalmente nell’intestino.
L’Apo A1 oltre ad essere la principale proteina dell’HDL, è un attivatore della lecitin colesterolo aciltransferasi (LCAT), enzima essenziale nel metabolismo delle lipoproteine. L’Apo A2 sembra essre solo una proteina di struttura.
Aumenta Diminuisce
Iper-alfa- lipoproteinemia (HDL > 90 mg7dl)
Sindrome di Tangier
Gravidanza
Ipo-alfa-lipoproteinemia
Terapia con estrogeni
Iperliproteinemia I e V
Alcool
Diabete mellito
Esercizio fisico
Colestasi
Emodialisi
Infezione
Farmaci: diuretici, beta bloccanti
Apo B: è una proteina di struttura dei chilomicroni, VLDL e LDL. Il contenuto più elevato si ha nelle LDL in cui costituisce il 90% della quota proteica. In condizioni normali la quasi totalità dell’Apo B presente nel siero è localizzata nelle LDL, solo in casi di ipertrigliceridemia il 25% è localizzata su chilomicroni e VLDL.
Sono stati distinti due tipi di Apo B indicati come Apo B-100 e Apo B-48.
La Apo B-48 è sintetizzata dalla mucosa intestinale ed in piccola parte dal fegato e si trova prevalentemente nei chilomicroni, la Apo B-100 è sintetizzata dal fegato insieme ai trigliceridi e la sua sintesi è indotta dagli acidi grassi liberi che arrivano o che si formano negli epatociti. La Apo B-100 interagisce sui recettori di membrana delle cellule endoteliali dell’intima dei vasi, degli epatociti, dei linfociti e dei fibroblasti cutanei permettendo in tal modo alla lipoproteina di entrare nelle cellule e venire catabolizzata. In questo modo le LDL vengono allontanate dal circolo e catabolizzate. La riduzione o la totale assenza dei recettori di membrana per le Apo B determina un forte aumento delle LDL e quindi ipercolesterolemia primitiva.
Le alterazioni qualitative delle Apo B (sostituzione dell’aminoacido arginina nella catena polipeptidica) aumentano del doppio l’attività delle LDL e quindi il rischio di malattia aterosclerotica. Clinicamente questi pazienti presentano retinite pigmentosa, acantocitosi, steatorrea, atassia di Friedreich.
Apo C: E’ costituita da tre diversi polipeptidi (CI, CII, CIII). E’ una proteina costitutiva dei chilomicroni, VLDL e HDL. In condizioni normali e al di fuori del periodo digestivo il 75% dell’Apo C si trova nelle HDL.
Le Apo C sono sintetizzate dal fegato (la sintesi intestinale è dubbia). Tra le Apo C la più studiata e la Apo C II che è il più potente attivatore della lipasi lipoproteica (LPL), enzima fondamentale nel metabolismo delle lipoproteine, di cui aumenta la velocità di reazione senza modificarne l’affinità per il substrato.
Apo D: E’ presente solo nelle HDL dove ne costituisce una componente minore (circa il 5%). La sua funzione è collegata al metabolismo degli esteri del colesterolo. Insieme all’Apo AI e alla LCAT costituisce il complesso di trasferimento degli esteri del colesterolo.
Questo complesso trasferisce gli esteri di colesterolo dalle HDL, dove vengono sintetizzati per intervento della LCAT, ad altre lipoproteine.
Apo E: E’ detta anche “proteina ricca di arginina” è uno dei principali costituenti proteici delle VLDL (10 – 20%), si trova anche in quantità minori nei chilomicroni, LDL e HDL. Quantità elevate di Apo E sono presenti nella sottoclasse HDL 1 delle HDL.
L’Apo E è un importante componente dei prodotti del catabolismo intavascolare dei chilomicroni e delle VLDL che si formano per azione su queste lipoproteine della LPL.
Livelli elevati di Apo E insieme a quelli di trigliceridi e colesterolo permettono la diagnosi di ièperlipoproteinemia di III tipo (alto rischio di aterosclerosi).
Appendice: 4.HELICOBACTER PYLORI
La presenza di una elevata incidenza di infezione gastrica nei soggetti affetti da cardiopatia ischemica, è stata una delle prime osservazioni suggestive della presenza di una associazione tra infezione gastroduedenale da H. pylori e patologie extradigestive.
Quando l’H. pylori viene a contatto con la mucosa gastrica, si produce una reazione immunologica, con conseguente liberazione di alcune sostanze che, in aggiunta a quelle direttamente prodotte dal batterio, sono capaci di promuovere non solo fenomeni vasoattivi ed immunologici, ma anche meccanismi competitivi con i processi metabolici dell’ospite.
Queste sostanze sono le interleuchine, TNF (fattore di necrosi tumorale), INF gamma, prostaglandine, leucotrieni e PAF (fattore attivante le piastrine). Altre alterazioni indotte dall’H. pylori correlabili con lo sviluppo di patologie cardiovascolari sono:
1. Incremento dei trigliceridi
2. Riduzione dei livelli di HDL
3. Aumento dei livelli di proteine della fase acuta dell’infiammazione
4. Aumento del fattore di Von Willebrand e, in misura minore, dell’inibitore dell’attivatore del plasminogeno.
Complessivamente queste alterazioni potrebbero indurre uno stato procoagulante negli individui infetti.
DIAGNOSTICA DI LABORATORIO
Sulla base delle nuove conoscenze dei fattori eziopatogenetici dell’aterosclerosi, riguardanti lo stress ossidativo, le implicazioni infettivologiche e i disturbi metabolici di alcuni aminoacidi, sono stati messi a punto nuovi test che permettono una migliore caratterizzazione e conseguentemente una più mirata terapia della malattia aterosclerotica.
Tali test laboratoristici studiano aspetti diversi dei fattori che influenzano l’insorgenza e soprattutto il manifestarsi clinicamente della malattia aterosclerotica come malattia multifattoriale, studiata non solo come complicanza delle dislipidemie che fino ad oggi sono state le alterazioni metaboliche e/o nutrizionali più studiate dal punto di vista del laboratorio di analisi cliniche.
I test che prenderemo in considerazione in questa breve trattazione sono:
1. Radicali liberi
2. Anticorpi anti lipoproteine ossidate
3. Omocisteina
4. Anticorpi anti Chlamydia pneumoniae
5. Ossido Nitrico
6. Potere antiossidante totale (TAST)
7. Appendice (Lp(a), lipoproteine, Helicobacter Pylori)
DIAGNOSTICA DI LABORATORIO: 1.RADICALI LIBERI
Sono atomi o molecole con elettroni spaiati e sono implicati nella patogenesi di numerose malattie.
Principalmente si formano dalle reazioni di ossido riduzione che fanno parte del normale metabolismo cellulare, possono anche formarsi con l’esposizione alle radiazioni gamma, raggi UV, inquinamento ambientale, fumo di sigaretta ed esposizione ad altri tossici. Ogni radicale libero che si forma nell’organismo può dare inizio ad una reazione a catena, che continua fino a che il radicale libero viene rimosso. I radicali liberi scompaiono dall’organismo reagendo con altri radicali o attraverso l’attività del sistema antiossidante.
Il sistema antiossidante è formato da vitamine antiossidanti (Vit E) o da enzimi come la superossido dismutasi (SOD).
Principalmente esistono 3 gruppi di antiossidanti:
Antiossidanti primari. (riducono la formazione di nuove specie di radicali liberi) e sono
Superossido dismutasi (SOD)
Glutatione perossidasi (Gpx) è un enzima selenio dipendente
Metalloproteine (ceruloplasmina, ferritina)
Antiossidanti secondari. (prevengono le reazioni a catena indotte dai radicali liberi)
Vitamina E, Vitamina C, beta carotene, acido urico, bilirubina, albumina.
Antiossidanti terziari (riparano i danni indotti dai radicali liberi)
Metionina sulfoxide ed altri enzimi che agiscono sul DNA (processi riparativi)
DIAGNOSTICA DI LABORATORIO: 2.ANTICORPI ANTILIPOPROTEINE OSSIDATE
Il test sfrutta il fatto che le liproteine ossidate sono modificate rispetto alle ridotte e per tale motivo sono capaci di dare una risposta immunitaria da parte dell’organismo. (vedi introduzione).
Recenti studi hanno messo in evidenza che il dosaggio degli anticorpi anti lipoproteine ossidate possono essere usati per monitorare i processi ossidativi che avvengono in vivo. Infatti, livelli elevati di anticorpi anti lipoproteine ossidate sono stati trovati in pazienti con malattia coronarica e altri ricercatori mettono in relazione la presenza di anticorpi anti lipoproteine ossidate e aterosclerosi carotidea.
Incrementi del titolo anticorpale verso le lipoproteine ossidate sono stati descritti anche nella pre-eclampsia e nel LES, diminuzione del titolo anticorpale sono osservabili durante setticemie o infarto miocardico acuto.
Più in particolare si può dire che esistono tre principali sottoclassi di LDL diverse tra loro per dimensione, densità e catabolismo: le LDL1 leggere, le LDL2 intermedie e le LDL3 piccole e dense.
E’ stato accertato che le LDL3 sono le maggiori responsabili delle lesioni aterosclerotiche in quanto hanno una vita più lunga e presentano una scarsa resistenza allo stress ossidativo.
Pertanto un paziente potrebbe non avere un colesterolo-LDL molto elevato, ma essere ugualmente esposto ad un elevato rischio se le LDL piccole e dense, le LDL3, predominano rispetto alle altre sottoclassi o raggiungono, comunque, concentrazioni elevate.
In presenza di elevate concentrazione di anticorpi anti lipoproteine ossidate è consigliabile assumere una dieta ipolipidica (anche in presenza di normali concentrazioni di colesterolo) e ricca di antiossidanti, se questo non fosse sufficiente si può ricorrere ad una assunzione farmacologica di antiossidanti. Studi effettuati con somministrazione giornaliera di vitamina E (da 300 a 900 mg al giorno) hanno dato soddisfacenti risultati.
Anche alcuni farmaci di uso comune come nifedipina e carvedilolo presentano spiccate azioni antiossidanti.
DIAGNOSTICA DI LABORATORIO: 3.OMOCISTEINA
Sono sempre più numerose le osservazioni che attestano che un aumento, anche lieve, di concentrazioni di omocisteina nel sangue costituisce un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari, indipendentemente dalla presenza di altri fattori ormai noti come fumo di sigaretta, ipercolesterolemia, ipertensione, ecc..
L’omocisteina è un aminoacido solforato che si forma nel nostro organismo a partire da un altro aminoacido, essenziale, chiamato metionina, che noi introduciamo con l’alimentazione. La metionina è coinvolta in moltissime reazione, oltre che nella formazione di proteine corporee. In una di queste reazioni viene prodotta un intermedio metabolico che è appunto l’omocisteina che, essendo un intermedio metabolico va incontro a destini differenti venendo riutilizzata e reimmessa in altri circuiti metabolici (ad es. trasformazione in cisteina). Le tappe metaboliche di questa trasformazione necessitano dell’intervento di tre vitamine, B6, B12 e acido folico. E’ quindi fondamentale che l’introduzione alimentare di queste vitamine sia adeguata, in quanto una loro carenza non consente il passaggio metabolico dell’omocisteina a cisteina, e si determina quindi un accumulo della prima nel sangue.
La scoperta dell’omocisteina come molecola intermedia del metabolismo della metionina risale al 1932; solo 30 anni dopo, però, furono descritti due casi di omocistinuria in una popolazione di bambini con ritardo mentale dove l’eccesso di omocisteina nelle urine era dovuto ad una eccessiva concentrazione plasmatica del precursore omocisteina. Fu poi nel 1964 la prima descrizione del deficit enzimatico (presente in omozigosi) di cistationina beta-sintetasi come causa più frequente di omocistinuria. Negli anni sono state poi individuate altri deficit enzimatici su base genetica responsabili di accumulo in circolo di omocisteina a causa di una riduzione della rimetilazione a metionina.
DIAGNOSTICA DI LABORATORIO: 4.ANTICORPI ANTI CHLAMYDIA PNEUMONIAE
Nei paesi occidentali la prevalenza di infezione da Chlamydia pneumoniae incrementa progressivamente con l’età ed è in media negli individui di sesso maschile del 50% a 50 anni e del 70% a 75 anni. La prevalenza di infezione da parte di questo microrganismo sembra correlata oltre che con l’età anche con il fumo e con basse condizioni socio economiche.
E’ stato dimostrato in vitro che la Chlamydia pneumoniae è capace di infettare e riprodursi in tessuti cardiaci (cellule muscolari lisce, cellule endoteliali, macrofagi). Numerosi studi hanno documentato la presenza di Chlamydia all’interno delle placche aterosclerotiche (52% delle lesioni contro il 5% in tessuti arteriosi di controllo). Il rischio per cardiopatia ischemica associato ad alti titoli anticorpali specifici appare particolarmente alto e questo rischio è maggiore in individui di sesso maschile con età inferiore a 60 anni.
DIAGNOSTICA DI LABORATORIO: 5.OSSIDO NITRICO
La scoperta di un fattore rilasciante di derivazione endoteliale (EDRF) nel 1980 modificò il concetto di endotelio come semplice rivestimento dei vasi e dette inizio ad una numerosa serie di studi che hanno ampliato le nostre conoscenze circa l’importanza di questo organo nella fisiopatologia cardiovascolare. L’endotelio regola il tono vascolare, la permeabilità capillare, i processi di coagulazione e trombolisi, le risposte infiammatorie parietali e l’aterosclerosi.
Nel 1987 è stato dimostrato che l’EDRF è ossido nitrico (NO).
L’ossido nitrico è un gas con caratteristiche di radicale libero, con emivita estremamente breve, sintetizzato a partire da uno degli atomi di azoto del gruppo guanidico terminale dell’aminoacido L-arginina e da una molecola di ossigeno, attraverso una reazione di ossido riduzione catalizzata da una famiglia di enzimi denominati NO sintetasi (NOS). Esistono tre isoforme di NOS codificate da geni diversi.
· NOS endoteliale (eNOS o tipo 3)
· NOS neuronale (nNOS o tipo 1)
· NOS inducibile (iNOS o tipo 2) normalmente non è espressa ma viene indotta da endotossine e mediatori infiammatori (lipopolisaccaridi, citochine)
quella di origine endoteliale (eNOS) è presente anche nel miocardio, piastrine ed endocardio. Lo stimolo più importante per la produzione fisiologica di NO a livello endoteliale è rappresentato dallo shear stress prodotto dall’azione meccanica del flusso laminare sulle cellule endoteliali stesse. L’attivazione indotta dallo shear stress è di brevissima durata, è regolata da meccanismi di feedback negativo e determina un rilascio tonico di quantità picomolari di NO sincrono con il flusso ematico pulsatile, fondamentale per mantenere il tono vascolare basale (tale meccanismo risulta alterato nella ipertensione).
NO e patologia cardiovascolare
L’eccesso o la mancanza di NO sono state recentemente collegate a numerose patologie cardiovascolari. La diminuzione dell’NO prodotto può essere associata ad un aumento del tono vasale, a vasospasmo e a trombosi dovute ad un aumentata adesione delle piastrine e dei monociti alla parete vasale. Anormali risposte vascolari sono state evidenziate dopo somministrazione di L-NMMA (enzima inibente la produzione di NO) e acetilcolina in arterie di pazienti con ipertensione arteriosa, diabete mellito, insufficienza cardiaca, malattia aterosclerotica evidente. Infatti le coronarie aterosclerotiche presentano rispetto alle arterie normali una ridotta risposta vasodilatatrice all’acetilcolina, osservata anche in soggetti ipertesi.
Questa alterata vasomotilità, evidente anche a coronarie integre, non sarebbe secondaria, ma rivestirebbe un ruolo primario nel determinismo della patologia vascolare. Infatti la disfunzione endoteliale rappresenterebbe un evento precoce riscontrabile in presenza dei soliti fattori di rischio cardiovascolare (ipercolesterolemia, fumo, diabete ecc).
Studi sperimentale hanno messo in evidenza carenza di NO nell’ipertensione arteriosa.
L’importanza del ruolo dell’NO nella protezione del sistema cardiovascolare è supportata anche dalle osservazioni epidemiologiche circa una morbidità cardiovascolare significativamente minore nelle donne in età fertile rispetto agli uomini di pari età o alle donne in post menopausa. Una possibile spiegazione di questo dismorfismo sessuale potrebbe, infatti, risiedere in un diverso rilasciamento endotelio dipendente, determinato dall’effetto degli estrogeni sulla produzione di NO endoteliale. Gli estrogeni, infatti, come dimostrano vari studi sperimentali, aumenterebbero l’espressione della eNOS nelle arterie e in altri tessuti svolgendo una azione anti-ipertensiva, oltre a proteggere l’endotelio dalla perossidazione lipidica causante l’aterosclerosi.
Studi sperimentali sugli animali e sull’uomo hanno evidenziato come l’aterosclerosi e l’ipercolesterolemia alterino la regolazione endotelio dipendente del tono vascolare, con comparsa di una risposta vasocostrittiva paradossa a sostanze normalmente vasodilatanti, quali acetelcolina e serotonina, e con un’accentuata risposta a stimoli vasocostrittori, quali le catecolamine.
Tale disfunzione è presente già nelle fasi iniziali della aterogenesi, quando ancora non sono evidenziabili le alterazioni morfologiche della parete vascolare, caratterizzanti la placca ateromasica. Infatti la vasodilatazione NO mediata, indotta dallo shear stress, è risultata compromessa non solo nei pazienti con malattia aterosclerotica coronarica angiograficamente evidente, ma anche in soggetti con coronarie indenni, con uno o più fattori di rischio cardiovascolare (ipercolesterolemia, familiarità per aterosclerosi, diabete, fumo…). La dimostrazione, mediante misurazioni del flusso coronarico in pazienti coronaropatici, di una ridotta vasodilatazione endotelio dipendente anche nelle arteriole coronariche di resistenza, nelle quali l’aterosclerosi non si sviluppa, e nelle arterie perifireche (distretto brachiale) indicano come questa alterazione sia un processo sistemico.
DIAGNOSTICA DI LABORATORIO: 6.POTERE ANTIOSSIDANTE TOTALE (TAST)
Questo test valuta il potere antiossidante dell’organismo determinando nel suo complesso l’attività dei vari antiossidanti fisiologici o farmacologici sia liposolubili che idrosolubili. E’ un test utilizzato sia come screening del potere antiossidante basale, sia come monitoraggio di una eventuale terapia antiossidante farmacologica o dietetica.